Meccanica, alimentare, ottica: da Nord a Sud timori per i dazi

Le filiere chiedono all’Europa compattezza e autorevolezza

by Financial Day 24
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Meccanica, alimentare, ottica: da Nord a Sud timori per i dazi

Le filiere chiedono all’Europa compattezza e autorevolezza

Il ritorno dello spettro dei dazi preoccupa le filiere produttive italiane, da quelle della meccanica a quelle dell’alimentare fino al comparto ottico. Un’ipotesi che, se confermata, rischia di pesare come un macigno su export e competitività, acuendo la pressione su un sistema industriale già messo alla prova da costi crescenti, rallentamenti nella domanda globale e incertezze geopolitiche.

Dalle imprese del Nord, cuore manifatturiero del Paese, fino ai distretti agroalimentari del Centro-Sud, la reazione è unanime: servono chiarezza, protezione degli interessi comuni e soprattutto un’Europa capace di agire con compattezza, senza esitazioni né divisioni. Il timore è che, in un momento in cui i venti protezionisti tornano a soffiare, l’Italia venga colpita su più fronti, finendo vittima collaterale di tensioni commerciali che si giocano ben oltre i propri confini.

Le esportazioni sono il motore silenzioso di molte economie locali. Nella meccanica di precisione, per esempio, ogni variazione nei costi doganali può erodere margini già sottili, influenzando l’intera catena del valore. Ma lo stesso vale per i formaggi Dop, per l’olio extravergine, per i macchinari agricoli, per i prodotti della cosmetica e della farmaceutica, fino agli occhiali del distretto bellunese o ai vini del Meridione. La minaccia di barriere doganali non colpisce un singolo prodotto, ma l’intero modello di internazionalizzazione che le imprese italiane hanno costruito con fatica negli ultimi decenni.

Il messaggio che arriva dalle associazioni di categoria è chiaro: l’Unione Europea deve sapersi presentare ai tavoli negoziali con autorevolezza e visione strategica. Non si tratta solo di difendere quote di mercato, ma di garantire stabilità e fiducia agli operatori economici, in un contesto sempre più fluido e frammentato.

Il rischio, altrimenti, è che le imprese decidano di rallentare gli investimenti, o peggio di ridisegnare la geografia delle proprie catene del valore, cercando soluzioni meno esposte. Un’opzione che penalizzerebbe i territori, soprattutto quelli più periferici, e che renderebbe ancora più difficile il mantenimento di occupazione e know-how in Italia.

In gioco non c’è solo una battaglia commerciale, ma la tenuta di un’intera architettura industriale. E le filiere lo sanno: senza un’Europa che sappia farsi valere, il rischio è quello di un indebolimento silenzioso ma costante.

A cura di Dario Lessa
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